Archivismi: Cassandra e la miniera

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Archivismi: Cassandra e la miniera

Attenzione: questo post è stato creato 8 mesi fa

Gli articoli di Cassandra Crossing sono sotto licenza CC BY-SA 4.0 | Cassandra Crossing è una rubrica creata da Marco Calamari col "nom de plume" di Cassandra, nata nel 2005.

Il sogno di Cassandra!

Questo articolo è stato scritto il 12 gennaio 2024 da Cassandra

Cassandra Crossing 569/ Archivismi: Cassandra e la miniera

Archiviare per dei secoli richiede tecnologie poco comuni ma tutto sommato semplici. Ma dove, esattamente, può essere realizzato un tale archivio?

Nelle 10 puntate della prima campagna di Archivismi abbiamo raccontato l’archiviazione di 566 numeri di Cassandra Crossing su Internet Archive, che tra l’altro ieri l’ha anche promossa a Collezione; la seconda campagna, quella di archiviazione dei 106 video di Quattro Chiacchiere con Cassandra è stata invece appena accennata nella precedente puntata perché troppo semplice e veloce. Siamo stati davvero bravi!

Abbiamo poi raccontato la tecnologia di registrazione digitale più durevole oggi sul mercato, accennando anche al fatto che la durata certificata a temperatura ambiente può essere ulteriormente estesa abbassando la temperatura di conservazione.

Come si possono conservare delle bobine di pellicola fotografica, ben protette dentro contenitori appositamente progettati, e poi sigillate in buste di materiale protettivo, a temperature molto al di sotto della nostra temperatura ambiente di circa 20 gradi?

Spoiler: la soluzione non è quella di dotarsi di grossi frigoriferi, ma di trovare un’adatta “temperatura ambiente”.

Per fortuna, non c’è bisogno di essere pionieri; basta seguire quello che hanno fatto i pionieri di un diverso tipo di archiviazione, di cui molti non hanno mai sentito parlare.

E ancora una volta Cassandra deve chiedere pazienza ai 24 irriducibili lettori, perché è di nuovo necessario riavvolgere il nastro (qui potremmo dire la pellicola), anche se solo di una quarantina di anni. E non di archiviazione di dati dovremo parlare, ma di archiviazione di semi; sì, semi e campioni genetici.

Nel 1984, la Nordic Gene Bank creò un impianto di sicurezza per lo stoccaggio di semi in una miniera di carbone dismessa nelle isole Svalbard. Il permafrost (il terreno permanentemente gelato), le infrastrutture disponibili e la cooperazione con la compagnia carboniera Store Norske Spitsbergen Kullkompani permisero la creazione di una struttura che avrebbe conservato una raccolta di semi in un contenitore d’acciaio all’interno della miniera di carbone n. 3 a Longyearbyen, miniera che si inoltra per 300 metri nel permafrost della montagna.

Nel 2001 fu stipulato il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura (ITPGRFA), che prevedeva l’istituzione di un sistema mondiale comprendente regole per l’accesso e la condivisione generalizzata dei benefici di tali risorse.

Tuttavia uno studio nel 2004 rivelò che il permafrost — che mantiene una temperatura costante di circa -3,5°C — non era ottimale per la conservazione del patrimonio genetico; inoltre lo stoccaggio dei semi in una miniera di carbone esposta a un livello elevato di gas idrocarburi non era geneticamente sicuro.

Il governo norvegese valutò allora la creazione di una struttura più adatta e, nell’ottobre 2004, si impegnò a finanziare e realizzare lo Svalbard Global Seed Vault, realizzando una costruzione scavata nel permafrost privo di carbone, dotata di un impianto di raffreddamento attivo per abbassare ulteriormente la temperatura fino a -18 °C, cioè alle condizioni standard per le banche genetiche.

Il Global Seed Vault in questa nuova struttura è stato inaugurato il 26 febbraio 2008; ancora oggi tuttavia molti pensano che esso si trovi invece nella miniera di carbone abbandonata, e non in una struttura nuova, scavata appositamente. Questo tour virtuale vi permette di visitare la nuova struttura.

Ma allora se alle Svalbard ci sono solo semi — diranno i 24 infastiditi lettori — dove sono i dati?

Risposta facile. Ricordate che il primo deposito di semi realizzato nel 1980 si trovava nella miniera di carbone n. 3 a Longyearbyen? Bene, con la creazione della nuova struttura la miniera è tornata sfitta, ed una piccola azienda norvegese, creata apposta dalla già nominata Piql, ha pensato bene di rilevarla e di creare il primo deposito di dati nell’Artico, l’Arctic World Archive. Uno yuppie direbbe Tecnologia + logistica = servizio innovativo.

Certo, il look avveniristico da bunker del Global Seed Vault qui non c’è; il look è più simile a quello della miniera di Indiana Jones ed il Tempio maledetto, con in più un tocco di Cronache del Dopobomba.

Ma laggiù, in fondo ad una galleria resa praticabile da puntelli e reti metalliche antinfortunistiche, occhieggia un container di acciaio inossidabile …

… pieno di contenitori avvolti in quella che sembra stagnola, ma che in realtà sono buste sigillate. Nella maggior parte di queste buste è custodita la prima campagna di archiviazione di Github.

Il Github Archive Program nel 2000 ha archiviato in 186 contenitori di pellicola una copia di tutti i progetti attivi (incluso quello del sito di e-privacy!) e li ha immagazzinati nella miniera n.3, battezzando l’iniziativa Arctic Code Vault; successivamente c’è stata una ulteriore campagna di archiviazione, ed una successiva è prevista in data non ancora fissata.

Ma Cassandra dove è finita — interloquisce nervosamente il più indisciplinato del 24 lettori — è tutto interessante, ma veniamo al punto!

Beh, il punto … sarà nella prossima puntata di Archivismi.

Marco Calamari

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